Questo è quello che fecero con le DONNE ITALIANE nella Seconda Guerra Mondiale!?
Sabato 11 settembre 1943 fu, secondo le parole del diarista piemontese Carlo Chevallard, un “giorno di umiliazione e vergogna”.
Chevallard, di origini franco-svizzere, era direttore di una fabbrica di metalli e un freddo osservatore degli eventi quotidiani.
Le strade di Torino erano stranamente silenziose, fatta eccezione per il rumore degli spari sporadici. Non c'erano giornali e la radio era muta.
Le poche persone che si avventuravano per le strade vagavano come “anime perdute” cercando di scoprire cosa stesse succedendo. Le richieste di volontari per resistere all'occupazione tedesca rimasero inascoltate.
L'Italia era ormai tagliata in due, il sud in mano agli Alleati, il centro e il nord occupati dai tedeschi, e le comunicazioni tra i due erano praticamente interrotte.
Per Ada e gli antifascisti del Piemonte, della Liguria e dell'Emilia-Romagna nel nord, era una questione di come reagire, cosa fare dopo, come distinguere gli amici dai nemici e come affrontare al meglio i prossimi mesi.
Rommel era stato riportato da Salonicco per comandare il Gruppo Armato B nel nord Italia.
Era temuto e allo stesso tempo detestato dagli italiani, che lo ritenevano responsabile della perdita delle loro colonie; da parte sua, faceva ben poco per nascondere il suo disprezzo nei loro confronti.
Ora inviò i suoi uomini, arrivati nei giorni scorsi dalla Francia e dal fronte orientale, a Torino, per disarmare i soldati italiani, la maggior parte dei quali giacevano sconsolati nelle loro caserme, secondo le parole di Levi, “come un gregge sconfitto”. di pecore”.
Ben presto questi uomini furono condotti lungo i viali verso i treni in attesa a Porto Nuova per trasportarli in un campo di transito a Mantova, quindi in Germania.
Guardando quegli uomini tristi e incerti, Ada cominciò a piangere.
Mentre le baracche si svuotavano, arrivavano i saccheggiatori.
Bisognosi quasi di tutto, affamati e arrabbiati, i torinesi portarono via farina, sale, coperte, scarpe, lenzuola e pistole, che presto sarebbero tornate utili, calando come eserciti di formiche sui magazzini militari, portando con sé carriole e carrozzine. su cui caricare il loro bottino.
I veicoli sono stati smontati e smontati fino al telaio. A mezzogiorno il saccheggio raggiunse il culmine nel magazzino militare principale di corso Regina Margherita. Ma ormai i tedeschi avevano sentore di quanto stava accadendo e i soldati inviati ad indagare cominciarono a sparare. È scoppiato un incendio; la gente correva. Quando i vigili del fuoco sono arrivati hanno trovato una scena raccapricciante: 17 morti, i loro corpi sparsi tra mucchi di vestiti e sacchi di grano strappati.
“Fu così”, scrisse in seguito una donna, “che iniziò la nostra guerra”.
Poi accadde qualcosa di straordinario. I 2.000 uomini del reggimento Nizza Cavalleria di stanza a Torino avevano ricevuto dai loro ufficiali confusi l'ordine di restare nelle loro caserme. I soldati tedeschi arrivarono con i carri armati, circondarono l'edificio, disarmarono gli uomini e li allinearono per marciare verso la stazione. A cinquecento di loro fu detto di montare a cavallo e seguirli. Fuori, però, si erano radunate centinaia di donne di tutte le età, con in mano delle pietre. Quando la metà posteriore della truppa a cavallo fu improvvisamente tagliata fuori dalla parte anteriore da un tram di passaggio in Corso Sommeiller, queste donne si lanciarono in avanti gridando: “Scappa!” Colpirono i cavalieri davanti con le pietre, per spaventare i cavalli. I tedeschi aprirono il fuoco con le mitragliatrici. Seguì il caos. Gli uomini venivano trascinati o saltati giù dai cavalli e venivano frettolosamente trascinati nelle porte o nei vicoli. I viali erano ora pieni di cavalli frenetici senza cavaliere, presto uccisi dai tedeschi e subito massacrati e dilaniati fino alle carcasse dai cittadini affamati di Torino.
Successivamente, dopo essere stati accolti dalle famiglie, nascosti e vestiti in abiti civili, i soldati furono portati alla stazione ferroviaria, camminando a braccetto con giovani donne e fingendosi i loro fidanzati, e caricati sui treni locali diretti fuori città sotto la pioggia. crepuscolo autunnale. Cinque giovani donne raccolsero cinque soldati inglesi fuggiti dai campi di prigionia e che ora si nascondevano e li condussero alla stazione, dove li consegnarono ad altre due donne in attesa. Nelle campagne, i macchinisti rallentavano per permettere ai soldati vaganti di scappare. Quel giorno, dozzine di ragazze, i cui sabati avevano trascorso cantando inni al Duce nelle loro linde uniformi, abbandonarono la loro indiscussa obbedienza al fascismo e furono impegnate a fingere di essere fidanzate con perfetti sconosciuti. Queste scene, in forme diverse, si svolgevano in tutta l'Italia occupata. “Fu così”, scrisse in seguito una donna, “che iniziò la nostra guerra”.